domenica 27 giugno 2010


La levatrice


 

L'inverno del 1562 fu l'inverno più rigido che la gente di Bagni e di tutta la vallata ricordasse.

Il tredicesimo giorno del secondo mese del nuovo anno la neve copriva tutta la conca e i tetti delle case si piegavano al suo peso .

Era difficile uscire di casa per i cumuli ghiacciati di neve marrone mista a mota che ostruivano e bloccavano le porte di legno rese grosse e pesanti dall'umidità.

Quel giorno ,Gostanza arrancava verso le casa di Fulco,proprio in fondo al villaggio,lungo il viottolo che ,alzandosi ripido tra curve e anse nella boscaglia,portava al vicariato.

Tanto era il gelo che pareva che artigli acuminati le si conficcassero nella carne attraversando il panno di lana dei suoi vestiti e facendosi largo tra i cento rattoppi del mantello marrone.

Le ciglia e sopracciglia erano indurite dal ghiaccio e mani e piedi,appena avvolti in strati numerosi di cenci dolevano e lanciavano fitte dolorose.

Ma non si poteva nemmeno pensare di tornare indietro e chiudere la porta di casa per raccogliersi in un po' di tepore.

Lisida,la moglie di Fulco aveva avuto le doglie assai prima del tempo debito,ma,nonostante questo lasciasse presagire un parto veloce e un bimbo morto,la donna continuava ad avere il travaglio senza aver partorito.

L'uomo,che vendeva carne di capra e di maiale in tutto il vicinato,compreso Lari,era corso la sera prima da Gostanza,preoccupato,non tanto per il neonato che già dava per morto,quanto per la vita di Lisida.

Con altri quattro bambini e i campi e la casa e il macello da portare avanti ,grande sarebbe stata la sua difficoltà se fosse morta sua moglie.

Non si poteva dire di no,anche perché il macellaio era persona importante e,soprattutto perché la levatrice,più del canonico o dell'arciprete ,doveva essere pronta a partire qualunque fosse il tempo.

Mica i bambini potevano nascere solo in primavera o estate!

Una raffica più forte di vento la rese quasi cieca e Gostanza avvertì la paura correrle come una serpe lungo la schiena:il sentiero non si vedeva quasi più e aveva perso l'orientamento.

Non sarebbe stata certo la prima a morire,durante un gelido inverno,smarrita e congelata.

Si costrinse a stare ferma per attendere le le refole del vento cessassero.

Quando la tormenta si spense lentamente,ricominciò a muoversi lungo quel che rimaneva del sentiero.

Non sentiva più né piedi,né mani,ma non ci si poteva più fermare,e ,soprattutto ,occorreva rimanere calme.

Si spinse attraversando un cumulo di neve e ,finalmente,semisepolta,vide la casa.

La porta era ben chiusa,per evitare che il freddo vento si insinuasse dentro,ma Gostanza non bussò neppure:le buone maniere potevano riservarsi a condizioni meno pericolose.

Entrata si fermò cercando di orientarsi in quella semioscurità:anche l'unica piccola finestra era stata sbarrata con assi di legno,e la sola luce proveniva da un camino acceso.

Accanto al camino,seduti sulle pietre di travertino annerite che facevano da base sedevano tre bimbetti assonnati e stretti l'uno all'altro che parevano un mostro con tre teste.

"Il bambino è sceso?"domando'.

"no e la madre urla dalla notte di ieri"rispose il più grande,senza staccarsi dai fratelli.

Tutti e tre erano stati fatti nascere da lei,uno dopo l'altro,con la distanza dell'allattamento e delle feste comandate,tutti concepiti dopo la Pentecoste che vietava i rapporti per una settimana intera.

Gostanza mormorò una preghiera di ringraziamento biascicando le parole:più volte era andata via senza compenso alcuno perché il bambino era nato,vivo o morto,prima del suo arrivo.

Si sedette accanto ai bimbi,ai piedi del focolare e si tolse i cenci mezzi dai piedi.

I suoi piedi la preoccupavano assai:se congelati davvero le dita annerite sarebbero cadute come rami secchi in pochi giorni e una levatrice che non si può muovere è destinata ad infausto destino: a viver di carità o a morire di fame e legnate.

Si pizzicò e si massaggiò le dita e vide che riprendevano un po' di color rosso e cominciavano a pizzicarle forte:almeno erano salve.

La stanza era ampia e dava l'idea di appartenere a gente agiata,e così era:Fulco aveva fatto dei bei soldi con i suoi commerci e ,a volte,pure con i suoi imbrogli.

Addirittura,cosa che solo il canonico aveva,era divisa in tre stanze:una dove dormivano,la stanza del focolare dove vivevano ed una separata dove alloggiavano le bestie di casa:qualche maiale,due capre da laTTE E LE GALLINE.

Un lusso e quindi Gostanza sperava in un bel compenso:magari un bel pezzo di carne affumicata con il quale andare avanti durante l'inverno.

Dalla parte opposta del camino ,sedevano tre donne che mormoravano litanie di preghiere ,accanto ,su una grossa e imponente sedia dai braccioli d'ulivo,il padrone di casa,accigliato e muto.

Gostanza riconobbe le tra donne:una era la madre di Fulco,più che la madre,sogghignò tra sé la levatrice,la padrona assoluta della mente di colui che si credeva il padrone,l'altra una sorella,una gallinella senza un briciolo di senno che non sapeva tirar tre parole giuste in fila ,ma che però,cuciva sentenze su tutto e tutti.

La terza era la zia zitella di Fulco che,forse perché nessuno l'aveva voluta in moglie,era più velenosa di una vipera a maggio.

Gostanza si affrettò oltre il paravento di panno che nascondeva la donna in tavaglio.

Appena la vide si accorse che la donna stava assai male e il parto non sarebbe stato né veloce né facile e che lei rischiava di non avere il suo pezzo di carne affumicata.

I segni sul corpo erano chiari e tempo da perdere non ce n'era.

Svelta aprì il suo mantello e tirò fuori la sacca dell'erbe.

Lisida aveva il viso gonfio e piedi e mani tumefatte,il respiro era affannoso e debole e pareva non riconoscere nessuno.

Per prima cosa tirò fuori lo sterco di colomba bianca che sempre aveva con sé:lo gettò nel fuoco e subito si levò un fumo acre che serviva a scacciare il demonio dalla stanza,nel mentre invocava con una preghiera il santo Cosimo ,protettore delle levatrici e della loro opera.

E che il santo Cosimo ,stavolta,l'aiutasse davvero!

Aveva con sé anche polvere di papavero rosso e con quello,sciolto in acqua di fonte tiepida,avrebbe alleviato il dolore della partoriente che forse,più rilassata,poteva da sola dare alla luce il baMBINO.

Nel mentre che si accingeva a mescolare l'infuso tuonò la voce della vecchia madre:

"che hai a darle?"

"infuso di papavero,per togliere via il dolore"

Gostanza volle spiegare:"Se sente meno il male potrà spingere meglio fuori il bimbo"

La voce divenne stridula e Fulco s'accigliò ancor di più del possibile,tant'è che le sopracciglia nere parevano unite.

"E' scritto:tu partorirai con dolore per il peccato che hai commesso.

Tu sei una strega e una diavolessa!"

"Una diavola di strega"fece coro la zia zittella.

Gostanza provava rabbia:non c'era nulla di sacrilego nella sua medicina,le sue erbe erano usate da centinaia e centinaia d'anni e lei era buona cristiana e le sue erbe benedette.

Non era che ogni volta che ne raccoglieva una chiedeva venia a Nostro Signore e recitava il Pater Nostro?.

Non era vero che la vecchia,l'anno passato,quando i dolori alle ossa si erano fatti insopportabili,era andata da lei ed aveva bevuto l'infuso ed era stata assai bene?

Ma non poteva replicare:quell'accusa di strega poteva ostare anche la vita e ,dispiacendosi per la partoriente,rimise il papavero nella sacca.

Decise di passare ad altro e più segreto rimedio:tirò fuori un lungo telo di lino e lo avvolse stretto al ventre gonfio:Lisida urlava dal dolore,ma dentro il telo,nascosto in una tasca aveva messo otto pezzetti di fegato di coniglio selvatico.

Prendendo altri tre pezzettini di quel fegato,assai minuscoli,li mise in bocca a Lisida:

"masticali piano"

Poi volta alle donne

"è carne che la sostenga un po' che avrà da faticare!"

In realtà era anch'esso un antidolorifico,più blando,anche contrastava la perdita copiosa di sangue che uccide tante puerpere.

Ora il viso di Lisida era grigio come la coda di un topo e gli occhi cerchiati di un nero più buio della pece.

Doveva sbrigarsi,il respiro era sempre più debole e lontano.

"Bisogna tirarla su,che il bambino scenda meglio.Sbrigatevi ed aiutatemi"

Il tono autorevole scosse le donne che si avvicinarono al letto e presero la donna due da una parte e ,la giovane,una robusta cavallona,dall'altra.

La sollevarono e poi,tra le sue urla da bestia sgozzata,cominciarono a scuoterla come un sacco da cui dovesse uscire grano.

"Rimettetela giù:ora è pronta"

Gostanza infilò nella vagina tumefatta e rigida la mano e,usando l'unghia del indice destro ,che appositamente teneva assai lunga,la cerò con un solo colpo il tessuto.

Liside si accasciò svenuta o incosciente ed il sangue caldo innondò il letto.

Gostanza aveva infilato tutta la mano e prese con perizia la testa del bambino ruotandola verso il basso.

"Prendetela e tirate le spalle dalla parte opposta a me"

Gostanza tirava lentamente il corpo del bimbo,stando ben attenta a non far molta pressione.

Era quello che faceva una grande levatrice:usare forza senza usar pressione.

Il bimbo si muoveva e scivolava ormai lungo il canale,Gostanza tirò verso l'esterno la testa,poi ruotandolo piano prima la spalla destra (quella di Dio )e poi la sinistra,e infine il bimbo fu fuori.

"Una femmina"

"Una femmina,tutta fatica per questo"Fulco sputò per terra.

"La madre vive,però,e la bimba è forte"ribattè Gostanza.

La vecchia andò alla madia e tirò fuori un sacchetto con farina dolce e una ventina di albicocche seccate:

"Per una femmina è anche troppo"

Richiuse lo sportello della madia e senza degnare d'altro Gostanza si rimise a pregare.


 


 


 


susanna franceschi riproduzione vietata

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