sabato 19 giugno 2010

DAL SITO UFFICIALE DELLA POLIZIA DI STATO

   
 

 
   

  

  

 




 

  


 


 

CATERINA FORT, LA STERMINATRICE DI VIA SAN GREGORIO

La donna massacrò nel 1946 la moglie e i tre figli del suo amante. Condannata all'ergastolo fu graziata dal presidente Leone dopo ventinove anni di carcere.

di Lavinia Gerardis


 

Una donna: Caterina Fort, occhi neri, bell’aspetto, carattere duro. E l’amore, forse l’ossessione per un uomo: Giuseppe Ricciardi, scuro di capelli e di carnagione, scavato in volto, viso lungo e quei tratti somatici caratteristici di certi siciliani d’altri tempi. Lui catanese emigrato al Nord dove ha fatto fortuna, è l’amante di Caterina. Ma c’è un’altra donna: Franca Pappalardo, moglie di Ricciardi, siciliana anche lei: viso tondo, carattere mite. E tre bambini: Giovanni, di sette anni; Giuseppina, di cinque e Antonio di poco meno di otto mesi; sono i figli dei coniugi Ricciardi.
Sono i protagonisti di una tragedia che scosse l’opinione pubblica, un terribile fatto di cronaca passato alla storia, ma anche un grande successo degli investigatori della questura di Milano. Franca Pappalardo è a conoscenza della relazione del marito con Rina Fort, ma fa finta di niente, accetta, in silenzio, per il bene della famiglia, per rispetto delle apparenze, come si faceva una volta. Rina invece è gelosa, insoddisfatta di quell’uomo a metà che vorrebbe tutto per sé. Così, in una serata milanese qualunque, il 29 novembre del 1946, mentre Giuseppe Ricciardi è a Prato per questioni di lavoro, a casa sua, al numero 40 di via San Gregorio, si consuma una strage.
In terra a faccia in giù, nella camera da pranzo, i corpi della signora Pappalardo e di suo figlio Giovanni, accasciato in posizione fetale. In cucina c’è invece il corpo della piccola Giuseppina e poi il cadavere di Antonuccio, l’immagine più impressionante: il bimbo penzoloni dal seggiolone dove poco prima stava prendendo la pappa. Uccisi, tutti e quattro a sprangate, con un paletto di ferro preso lì in casa. Questa la scena agghiacciante cui si trovarono di fronte i poliziotti giunti sul posto poche ore dopo il massacro. Nessuno aveva assistito al delitto, nessun testimone si fece avanti.
Per sciogliere i misteri del caso della “Sterminatrice di via San Gregorio” e arrivare a una sentenza definitiva, ci vollero quattro anni di processi. I magistrati stabilirono alla fine che Caterina Fort era l’unica responsabile della strage. La donna, trentacinquenne all’epoca del verdetto di Cassazione, fu infatti condannata all’ergastolo. Ma il lavoro degli inquirenti che precedette il giudizio della magistratura e che appassionò, indignò e sconvolse milioni di persone attraverso le cronache dei giornali, fu davvero duro.
Rina Fort fu arrestata all’indomani della strage mentre si trovava al lavoro, nella pasticceria dove faceva la commessa. Stava raccontando storielline piccanti per intrattenere i clienti, com’era solita fare. La donna respinse in un primo tempo le accuse contro di lei, poi ammise di aver solo assistito all’orribile delitto e in fine, dopo diciassette interrogatori di settanta ore complessive, confessò nel modo più esauriente. Seguirono però ritrattazioni su ritrattazioni. Sette diverse versioni dei fatti furono fornite dalla donna agli investigatori durante gli interrogatori fiume. E centinaia furono le verifiche che gli uomini della questura di Milano dovettero fare per trovare riscontri. Ogni versione dei fatti era ben costruita, apparentemente credibile. Soltanto due però risultarono, al termine degli interrogatori, le più interessanti: la seconda e l’ultima.
La seconda in sostanza coincideva con il giudizio finale della magistratura: era stata cioè Rina Fort, da sola, ad uccidere per gelosia la moglie e i figli del suo amante. Nella confessione Rina aveva dato un quadro dettagliato di come s’erano svolti i fatti: quando era andata a casa del suo amante quella sera sapeva che Ricciardi non c’era. La Pappalardo era venuta ad aprirle la porta e il figlio più grande l’aveva seguita. Rina si era seduta vicino al tavolo da pranzo, dovevaparlare di affari con la donna. Appena entrata però si era sentita svenire, colta da un capogiro. Franca Pappalardo che se ne era resa conto, le aveva offerto una limonata poi era corsa in cucina a prendere una bottiglia di liquore forte ancora sigillata. Aveva posato la bottiglia del liquore sul tavolo del marito ed era andata nuovamente in cucina a cercare il cavatappi. Non lo trovava. Si stava attardando a cercarlo e questo aveva irritato la Fort che stufa di attendere aveva deciso di rompere il collo della bottiglia contro il tavolo per versarsi da bere. Il rumore aveva attirato l’attenzione di Franca Pappalardo che era tornata in salotto. Caterina Fort era in piedi con il viso sconvolto. Un battibecco era iniziato tra le due, poi l’ira della Fort, il rancore covato per anni nei confronti della rivale si era scatenato. Rina aveva preso il primo oggetto che le era capitato: un paletto di ferro, e con quello aveva iniziato a colpire. Ma non l’aveva uccisa con i colpi del paletto. Solo dopo, al culmine della follia, saltando con i piedi sul corpo steso della donna, l’aveva finita fracassandole le costole. Un elemento questo che coincideva col referto medico. Franca Pappalardo infatti riportava sul torace grossi lividi e tre costole fratturate. In quanto ai bambini la Fort non si era pronunciata, aveva detto di non ricordare, sconvolta dalla vista del sangue, ma aveva aggiunto: “Non posso né escludere né ammettere di averli uccisi”.
La settima ed ultima versione, abbracciata dall’avvocato difensore della Fort, era invece completamente diversa: Rina era entrata in casa Ricciardi senza l’intenzione di uccidere ma con lei c’era un uomo, un complice di nome Carmelo che avrebbe fatto il “lavoro più sporco” assassinando Franca Pappalardo e i tre bambini. Le cose, secondo l’ultima versione di Caterina, erano andate così: gli affari di Giuseppe Ricciardi andavano male, aveva i creditori alle costole e per arrivare con questi a un accordo aveva pensato di inscenare un grosso furto in casa sua. In seguito cedendo il magazzino di cui era proprietario e vendendo in blocco tutta la merce avrebbe potuto realizzare circa quattro milioni. Liquidati i creditori sarebbe espatriato in Francia insieme alla sua amante. Ricciardi aveva trovato anche l’uomo, Carmelo, un siciliano di media corporatura, pronto a recitare la commedia del furto. Rina che nella faccenda non voleva entrare, era invece stata costretta da Carmelo, in quel giorno maledetto, a seguirlo per convincere la signora Pappalardo a farsi derubare. Entrati in casa però la donna si sarebbe resa conto che quell’uomo aveva altre intenzioni. Lui con un pugno aveva subito steso a terra la Pappalardo. Poi aveva passato un’asta di ferro alla Fort dicendole “vendicati ora che puoi”. Lei aveva colpito la donna ma senza ucciderla. Carmelo invece era salito sul corpo accasciato e saltandoci sopra aveva finito la donna. Presa poi in mano la spranga di ferro aveva massacrato anche i tre bambini.
Dopo questa versione dei fatti, tantissimi furono gli uomini di nome Carmelo ad essere fermati e interrogati. Cinque finirono in carcere per qualche tempo e l’ultimo, Carmelo Zappulla, ci restò venti mesi ma alla fine fu rilasciato e poco dopo morì.
Nessun complice c’era stato dunque per i magistrati, tuttavia restava nell’opinione pubblica un dubbio, che era più un’antipatia. Molti infatti volevano coinvolto nella vicenda Ricciardi, il fedifrago che aveva generato tutto il dramma. Un uomo dal comportamento ambiguo che non aveva versato una lacrima trovandosi davanti ai corpi massacrati della sua famiglia, dei suoi bambini, del piccolo Antonio penzoloni dal seggiolone. Un uomo senza morale, senza decoro che messo poco dopo quella visione agghiacciante a confronto con Caterina Fort, la donna accusata di aver compiuto il massacro, aveva esitato un solo istante ma poi senza ritegno le aveva buttato le braccia al collo. Un gesto imperdonabile per coloro che erano rimasti scioccati dalla vicenda. Quell’uomo era responsabile, anche se il suo alibi era di ferro, anche se non aveva partecipato al delitto, per il giudizio di moltissime persone, quell’uomo continuava a rimanere colpevole. E poi c’era quella lettera senza firma e quella telefonata di un uomo senza nome arrivate alla questura di Milano all’indomani del delitto che avevano avvertito gli inquirenti: “È stata Rina Fort insieme a due uomini. Il delitto era stato organizzato otto giorni prima, indagate”. Chi erano quei due uomini? E chi aveva organizzato il delitto? In tantissimi avevano seguito il caso appassionandosi e facendosi una propria idea. Su ogni particolare della storia. Tanti erano quelli che non avevano creduto all’esistenza di un complice, molti s’erano convinti che le diverse versioni date dalla Fort le fossero state suggerite. Ma l’opinione della gente rimase fuori dai processi. E i magistrati dopo un lungo lavoro accertarono che la sola colpevole di quell’orrenda strage era una donna dagli occhi neri e il carattere duro: Caterina Fort. Dopo ventinove anni di carcere la sterminatrice di via San Gregorio fu graziata dal presidente della Repubblica Giovanni Leone. Morì di infarto tredici anni dopo nella sua casa in Toscana.

  

  


 


 

   

1 commento:

  1. perchè è successo in questo Paese GARANTISTA SOLO PER I CRIMINALI, SI DOVREBBE TORNARE AL PERIODO DELL'INQUISIZIONE TUTTI AL ROGO.

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